6 marzo 2017

La vera Holly Golightly: Doris Lilly

Scoprire che un personaggio letterario o cinematografico che amiamo, di quelli universali ed efficaci, ha un corrispettivo "reale" è sempre uno shock, positivo talvolta ma più spesso negativo.
Non è stato il caso della meravigliosa protagonista di "Breakfast at Tiffany's" di Truman Capote, il libro ma poi anche il film di conseguenza.
Purtroppo non ho trovato alcuna notizia al riguardo in italiano, quindi ho deciso di condividere questa curiosità su questo mio blog - che sto trascurando, lo so, ma mi sono ripromessa di non farmi promesse né sentirmi in colpa...solo scrivere quando mi va!

Scoppiettante, imprevedibile, affascinante e glamorous...parliamo di Holly Golightly, interpretata al cinema dall'ineguagliabile Audrey Hepburn, nel cuore di migliaia di donne di almeno tre generazioni.
Ebbene ho scoperto che il suo creatore, Truman Capote, aveva qualcuno in particolare in mente nell'ideare sapientemente questo personaggio. 
La musa in questione era qualcuno che Capote conosceva bene, ovvero la giornalista di cronaca mondana e scrittrice Doris Lilly (1926-1991). Autrice di "Come sposare un milionario", che poi diventerà un film cult con Marilyn Monroe e Lauren Bacall, fidanzata di Ronald Reagan ancora attore, giornalista per il New York Post e Cosmopolitan, Doris sarebbe oggi considerata una It-Girl di successo; Un "personaggio pubblico" glamorous prima che ci fossero le blogger, una ragazza californiana con un bel visino ed un cervello vivace che riuscì a sfondare nel retro bottega dello show business hollywoodiano degli anni '50. 
Come giornalista aveva ovviamente accesso a tutti gli ambienti "importanti" e "di moda", dove si poteva incontrare la gente che conta...come Capote, che appunto la conobbe ad uno di questi eventi e che poi si ispirò a lei per creare la festaiola Holly, superficiale ma con anche un'interiorità significativa.
Come scrittrice precorse i moderni romanzetti rosa "per un pubblico solo femminile", le varie Kinsella che oggi inondano il mercato letterario, avendo tuttavia un occhio perspicace nell'osservare la società in cui era immersa quotidianamente e una capacità di trasmissione originale nei confronti del pubblico che le "successore" spesso mancano. Doris Lilly infatti, sia nei suoi racconti-romanzi che nelle sue rubriche sui vari giornali dell'epoca, raccontavano infatti alla gente comune la vita di milionari e soubrettes, attori e ballerine di night clubs, descrivendo così quel mondo inarrivabile da una posizione privilegiata ed essendone inevitabilmente contagiata. Molte sue citazioni hanno lo stesso sapore ingenuamente snob del copione di Holly Golightly. Scambiando le frasi delle due, difficilmente sarebbe possibile individuarne la "proprietaria". 


Una piccola curiosità che però trovo interessante, soprattutto se analizzate differenze e somiglianze con il personaggio da lei ispirato, perché esplicativo del processo creativo seguito da T. Capote. 





Breve storia dell'arazzo, dalle origini ai nostri giorni

Hanno abbellito le pareti di castelli reali e nobili per migliaia di anni, riscaldando d'estate e risaltando nella loro bellezza illuminati nella luce estiva. Si potevano arrotolare e portare con sé negli spostamenti tra una residenza e l'altra, nonché salvarli in caso di incendio o saccheggio. Erano gli arazzi, di cui oggi cercherò di raccontarvi la storia.
(Gli albori) Purtroppo è sempre stato difficile determinare con precisione in quale zona del mondo siano stati prodotti prima, soprattutto a causa della deperibilità dei materiali che ha impedito di ritrovare una sufficiente quantità di reperti. Alcuni ipotizzano che i primi arazzi siano frutto delle menti creative e delle abili mani di cinesi e giapponesi, portando come prova il ritrovamento di opere antecedenti l'anno Mille. Tuttavia sono stati trovati arazzi risalenti addirittura alle società dell'Antico Egitto, in epoca faraonica e successivamente copta, e della Grecia tardo ellenica. Anche nelle zone dell'America precolombiana sono stati rinvenuti arazzi, sebbene realizzati con disegni più semplici, risalenti al II, I secolo a.C.


(1100-1400) Per ammirare arazzi europei dobbiamo aspettare il Medioevo e recarci in Germania, nonostante sia stata la città francese Arras a dare il nome a questa tecnica, dove nel XII secolo i conventi adottano l’arazzo come ornamento nelle loro chiese . Intorno al XIV secolo la piccola cittadina di Arras si distingue nuovamente, e questa volta in modo più incisivo, per la produzione di arazzi raffinati ed eleganti, con il fiorire di numerose industrie nate da artigiani professionisti che pian piano, grazie alla passione ed al talento, fanno avvicinare l'arazzo artigianale all'arte. Proprio nel 1400 infatti, alla fine dell'era medievale, ci si rende conto di quanto la tecnica artigianale di produzione di questi manufatti si sposi bene con l'arte e quanto, grazie a questo connubio, possa assurgere di pregio. Ora i disegni degli arazzi vengono realizzati basandosi, come abbiamo detto all'inizio, sui cartoni o modelli creati da grandi pittori. Naturalmente si scatena una gara fra le varie botteghe artigiane per accaparrarsi i disegni degli artisti più in auge del momento. Dopo aver dato il primo impulso a questa nuova forma d'arte, Arras cede il suo primato nella realizzazione di arazzi pregiati ad altre città francesi: prima a Tournai e poi a Bruxelles, che detiene il primato fino al termine del XVI secolo quando viene surclassata dalla capitale, Parigi. Caratteristiche di questo periodo sono le tessiture dette “millefleurs” eseguite con motivi floreali stilizzati su fondo blu o rosa,  ed i tutt'oggi molto preziosi “tapis d’or” eseguiti appunto con fili d’oro intrecciati nella trama del disegno.

(Rinascimento) Sempre più apprezzata dalle corti e dalle grandi - e ricche - famiglie nobiliari, che spesso facevano riprodurre sui propri arazzi lo stemma del casato, l'arte dell'arazzo giunge nel territorio delle Fiandre arrivando, durante il Rinascimento, al suo massimo splendore. Gli arazzieri fiamminghi diventano, nel XV secolo, strappano il primato alla Francia non solo per la qualità dei manufatti, tessuti con fili più sottili, pure d’oro e d’argento, ma anche perché per l’esecuzione dei cartoni si ispirarono a dipinti celebri (spesso ai capolavori dell’arte rinascimentale italiana, grandiosa e monumentale, ai soggetti mitologici, agli episodi del Vangelo ) e cominciarono a ricorrere a veri e propri pittori. L'arazzo è ormai considerato paramento decorativo  paragonabile alla pittura. Solo in questo periodo iniziano ad essere realizzati anche arazzi italiani e, mentre i primi tentativi falliscono, si riconoscono opere di grande importanza quelle appartenenti alla serie i “Mesi” eseguiti da Gian Giacomo Trivulzio da cartoni del Bramantino.

Uno degli arazzi costituenti la serie "I mesi" di Trivulzio

(1500) "L'ossessione tapisserie" attaccherà anche Re e Duchi portando tutte le grandi casate reali ad istituire proprie "arazzerie reale" cercando di assicurarsi i maggiori pittori del momento nonché gli atelier più prestigiosi dove farli realizzare: Francesco I, Ercole II d'Este, Cosimo I sono solo alcuni di quelli che contrassero il "virus". Agli inizi del Cinquecento gli autori fiamminghi, in particolar modo, introducono un nuovo metodo di concezione dell’opera che viene considerato precursore del surrealismo. Si tratta degli arazzi detti “foglie di cavolo” o “verdure a grandi foglie” ricchi di fauna stilizzata e vegetazione lussureggiante. Tale invenzione si attribuisce soprattutto al genio di Jérome Bosch

Arazzo del ciclo "Giardino di Delizie" di Jérome Bosch

(1600) In seguito a persecuzioni religiose e politiche molti arazzieri olandesi fuggono dalla loro terra e si rifugiano in vari stati europei, favorendo così la diffusione della tecnica.Giungono fino in Svezia e Norvegia dove però non riescono ad affermare il loro stile, ma anche in Spagna dove verso la fine del Cinquecento fiorisce l’importante e prestigiosa produzione di Pietro Gutierrez. Bruxelles mantiene il suo primato anche nel Seicento, grazie all’apporto barocco di Rubens, maestro del colore e del movimento, il quale progetta cartoni con soggetti prevalentemente storici
Arazzo con l'Apoteosi dell'Eucarestia, disegno di Rubens

(1600) Abbiamo capito che avere l'arazzo più pregiato è ormai un affare di stato e dunque nel 1602 Enrico IV chiama a Parigi i tessitori di Bruxelles e di Anversa e con loro stipula un patto per cui gli arazzieri tesseranno e venderanno le opere per la Francia e saranno aperte in cambio abbondanti birrerie, sfruttando il grande amore dei popoli nordici per il bere. Non volendo essere da meno dei suoi predecessori, Carlo VI, Filippo l’Ardito, Filippo il Buono, Carlo il Temerario, il nuovo Re di Francia Luigi XIV tenendo fede alle proprie mani di grandezza, volle far tornare alla ribalta la grandeur francese anche nell'ambito dell'arazzeria. Il primo ministro Colbert favorì così la rinascita della manifattura francese di arazzi dandole quasi carattere “statale”, elaborando statuti e fissando paghe per i tessitori e stabilendo i prezzi degli arazzi. Nel 1662 fondò la “manifattura reale dei Gobelins” riunendo tutti i tessitori parigini alla famiglia Gobelins,che erano stati tintori ed avevano dunque conoscenze ed abilità per introdurre nella produzione degli arazzi una vasta gamma di nuovi colori, prima limitata a poche tinte vegetali, che contribuì a rendere a lungo questa manifattura reale la più prestigiosa - con grande orgoglio e beneficio di Luigi XIV che impegnò quasi completamente l'atelier nella produzione di arazzi per la Reggia di Versailles -.  
Anche l’Inghilterra partecipò a questo sontuoso sviluppo e crea la "manifattura di Mortlake", diretta da Stephan Crane. 

Arazzo Gobelins "L'elefante" dal ciclo "Le Nuove Indie" - Quirinale

Manifattura Mortlake "La battaglia di Solebay"
(1700) Nel Settecento si assisté al tripudio del connubio arazzo-pittura grazie alla realizzazione da parte di grandi pittori del secolo di pregiati cartoni per le manifatture reali dei rispettivi paesi. La Spagna conquistò il Goya che alla fine del 1774 realizzò i cartoni per una serie di arazzi eseguiti dalla Reale Arazzeria di Santa Bárbara e destinati alle sale dell'Escorial e del Prado. La manifattura spagnola si contraddistinse stilisticamente grazie all'apporto artistico del Goya e predilesse scene di caccia e "di schietto carattere popolaresco". La Francia poté contare invece, dopo la morte del celebre LeBrun, su pittori comunque affermati come Boucher, Coypel e Parrocel. 

Francois Boucher, Nettuno e Animone, scene degli Amori degli dei, Beauvais, 1757

Cartone di Francisco Goya
(1800) " Dalla fine del Settecento, con il passaggio alla produzione industriale e il crescere del costo della manodopera (i tempi di lavorazione lunghissimi determinano costi proibitivi), la moda degli arazzi incominciò a declinare come manifestazione esteriore del prestigio dell'aristocrazia e risentì dei forti cambiamenti sociali del momento: durante la rivoluzione francese la folla li bruciò non solo per recuperare i filamenti d'oro tessuti negli arazzi, ma anche per distruggere i vessilli della classe abbattuta." (Wikipedia)



Anche con l’avvento del periodo napoleonico e poi della Restaurazione l’arazzeria rimase spenta in termini di entusiasmo, frenetica ricerca di miglioramento artistico, notevole impiego di risorse, mecenatismo e quant'altro, riducendosi alla riproduzione di dipinti storici e ritratti. Questo almeno fino alla fine del secolo quando si ebbe una ripresa della lavorazione artigianale grazie all'inglese William Morris ed il suo movimento Arts and Crafts (movimento artistico di protesta contro la produzione di massa) si specializzò nella tessitura di arazzi ispirati al Medioevo, molti basati su suoi stessi disegni, oltre che di altri artisti.
(1900) Nella prima metà del Novecento si assiste ad un notevole risveglio della tecnica dell'arazzo e ad un ritorno alla produzione manuale artigianale in quasi tutta Europa, grazie all'impegno in quest'ambito di grandi maestri quali Picasso, Braque, Mirò, Lurcat, Guttuso. 


Spero che questo affaccio storico sulla tecnica dell'arazzo, che devo dire amo molto, sia stata interessante e facile da seguire. Avete mai visto degli arazzi dal vivo? Dove? Raccontateci le vostre impressioni...

Con affetto,
Irene

17 febbraio 2017

"El tiempo entre costuras" - serie tv spagnola (tradotta male) distrugge lo stereotipo.

Trovo buffo che in un'era globalizzata come questa, in cui con un click si puo' visitare e conoscere ogni parte del mondo, molti - anche tra i giovani - decidono , scientemente o no, di limitare i propri orizzonti, alimentandosi solo ad un piccolo angolino della cultura. E' riduttivo e significa privarsi della ricchezza di scoprire mentalita' diverse, modi diversi di esprimere e di intendere le emozioni e le vicende della vita, storiche o quotidiane.
Per questo ho come puntiglio personale, che vorrei fosse piu' estesamente condiviso, di non giudicare mai a priori un'opera d'arte (nel senso ampio di frutto dell'arte e dell'ingegno umano, non necessariamente di capolavoro, e nella qual categoria io includo non solo dipinti ma anche libri e film, in quanto espressioni studiate ed artistiche di emozioni e concetti, banali e non) in base alla provenienza, o agli stereotipi che questa talvolta suggerisce. 
Nel caso di oggi, serie televisiva spagnola solitamente si traduce nella mente di tutti in 'telenovela mielosa, infinita e priva di guizzo artistico...solitamente buona solo come intrattenimento pomeridiano per casalinghe di mezz'eta'. Purtroppo questa e' la realta' di quanto siamo influenzabili dal pregiudizio, dal sentito dire o dalla tendenza di fare, come si dice, di tutta l'erba un fascio.

"El Tiempo entre Costuras" e' stata per me una scoperta piacevole e certamente difforme da eventuali aspettative pregiudizievoli. Questa serie tv di produzione spagnola, ambientata pero' per buona parte in Marocco, racconta le vicende di una giovane sarta capace, appassionata e ingenua come tante donne in giovane eta', che e' costretta dalle svolte della vita a ricostruire la propria strada nell'Africa dominata dalla Spagna imperialista e franchista degli anni Trenta. Attraverso gli occhi di Sara Quiroga scopriamo i meccanismi di una societa' eterogenea in cui fascisti e ribelli spagnoli, nazisti tedeschi, ricchi inglesi e musulmani marocchini erano costretti a muoversi negli stessi spazi, interagire, fare affari - legali e non - e amalgamarsi quel tanto necessario alla comune convivenza, senza tuttavia dimenticare mai le diverse fazioni o mondi di appartenenza.
Questa serie, malamente tradotta in italiano "Il tempo del coraggio e dell'amore" a enfatizzare l'aspetto romantico e romanzesco della trama che, pur essendo importante, non era stato originariamente scelto come protagonista - tanto e' vero che in spagnolo, il titolo significa letteralmente " il tempo tra le cuciture" a mettere in evidenza la principale caratteristica della protagonista come sarta provetta - inizia a Madrid nel 1936, poco prima dell'Alzamiento di Franco che porto' alla guerra civile spagnola. Seguendo fedelmente le vicende narrate nel romanzo omonimo su cui si basa di Maria Duenas - omonimo in spagnolo, non in italiano in cui e' stato invece tradotto curiosamente "La notte ha cambiato rumore", strani fatti accadono nelle case editrici nostrane - troviamo Sira, ventenne, che alla vita modesta e tranquilla che conduce dividendosi tra il lavoro come sarta insieme alla madre e i preparativi per il matrimonio col fidanzato - gentile, dolce e innamorato ma volutamente un po' scialbo - sceglie di lasciarsi andare all'avventura, unendosi ad un affascinante venditore di macchine da scrivere, ambizioso e con il pallino per lo stile di vita ricco ed elegante. Inseguendo un sogno imprenditoriale condiviso, ma anche alla ricerca della bella vita, partono insieme per Tangeri, vivendo per qualche mese solo di divertimenti e piaceri. Tutto si infrange quando Sira si ritrova derubata dei soldi - donategli dal padre -, con un debito enorme sulle spalle, un bimbo in grembo e abbandonata dal prezioso innamorato.
Vari accadimenti si susseguono poi, virando la storia dalla parte prevalentemente romantica e raccontandoci invece le difficolta' che una donna non sposata e sola aveva a quel tempo. Sira si ritrova ospite in una pensione a Tetouan, allora capitale del protettorato spagnolo in Marocco, dove si riprende fisicamente ed emotivamente grazie all'aiuto di un'improbabile e divertente accozzaglia di personaggi ben delineati, alcuni esaurientemente e altri solo con poche pennellate sapienti, riuniti nell'intimo microcosmo di una pensione afittacamere. In particolare spiccano tra gli altri Candelaria, padrona della struttura che diventa per lei una seconda figura materna, e la giovane ragazza marocchina Jamila, musulmana che parla spagnolo e che funge da 'serva' per Candelaria in cambio di vitto e alloggio.  Fra le tre donne nasce un legame particolare, grazie al quale - ma non solo - Sira si trovera' in grado di aprire il proprio atelier di sartoria, divenendo la sarta piu' abile del protettorato. Proprio attraverso il via vai di quelle stanze, a noi spettatori si apre una veduta sugli intrighi politici e sociali che animavano l'alta societa' coloniale, impariamo i giochi leciti e illeciti che sostenevano la pesante trama di un periodo complesso come quello della guerra civile spagnola e le connessioni inevitabili con le vicende degli altri paesi europei. Grazie alla sua bravura, attraverso l'Atelier si dipana davanti a Sira una nuova strada, eccitante e pericolosa, che le fara' cambiare nome in Arish Agoriuq, " diventando protagonista di incredibili avventure e intrighi internazionali che la fanno viaggiare in giro per il mondo". [Wikipedia]

Non e' solo passioni travolgenti e stucchevoli scene d'amore, quindi. " El tiempo entre costuras" parla della condizione femminile dell'epoca, descrive efficacemente gli aspetti socio-politici del tempo, pur non volendo concentrarvisi, e garantisce un'attendibilita' storica accettabile per una serie che vuol essere solo fiction drammatica ad ambientazione storica, e non documentario realistico; gli accenni storici sono accurati, dunque, e gli aspetti di contorno come ad esempio i costumi - importanti in questo caso, visto che abbiamo una sarta come protagonista - ma le vicende storiche che non incrociano direttamente il cammino del personaggio principale sono solo accennati con poche linee, cosi da evitare il rischio di non essere puntuali.
Dal punto di vista prettamente espressivo della storia, vi troviamo esemplificati diversi tipi di relazioni umane, emozioni e sentimenti che sono processati ed esternati in modalita' forse diverse da cio' cui siamo abituati oggi ma che credo si accordano giustamente con il periodo storico in cui si e' voluta ambientare la storia stessa. In molte opere, che siano serie televisive film o libri, l'ambientazione storica viene usata per attirare il pubblico, relegata a dare un 'odore esotico' alla trama e che finisce per diventare pretesto, tanto che prendendo la storia e spostandola pari pari di qualche secolo o continente vi si adatterebbe tranquillamente senza neanche doverla aggiustare troppo. E' vero che nella storia dell'espressione, scritta e cinematografica, le 'storie' ed i personaggi si ripetono inevitabilmente, con variazioni piu' o meno rilevanti, perche' le combinazioni non sono infinite e certi elementi sono necessari a rendere la storia interessante e significativa. Pero' credo anche che la bravura di un autore, che per me e' fondamentalmente un racconta storie, sta nel intersecare radicalmente gli elementi centrali a quelli di contorno, la trama in se' stessa con l'ambientazione, per renderli inscindibili e quindi creare qualcosa di originale, che sara' necessariamente diverso da un'altra opera seppur similare da un lato o dall'altro.

Sono grata anche alla personale passione per le lingue straniere che mi ha sempre accompagnata, permettendomi in questo caso di guardare la serie in lingua originale e quindi assaporare l'esperienza nella sua pienezza. E' uno degli aspetti positivi di fenomeni moderni come Netflix, che ci permettono di avere accesso ad un vasto spettro di contenuti, di scegliere tra la comodita' della propria lingua o l'emozione della lingua originale, il tutto a basso costo e quasi nessun incomodo - niente piu' aspettare in fila al cinema, cercare il dvd in lingua originale e aspettare che ti arrivi a casa e cose simili. Per correttezza devo menzionare che la serie e' stata doppiata e trasmessa su Canale 5 nel 2014 passando, almeno per quanto mi riguarda, inosservata purtroppo.

Una serie intrigante, completa di sapori diversi per abbracciare un pubblico ampio: romanticismo, suspense, storicita', dramma,  amicizia, guerra...
La vita nel protettorato

Sira e Ramiro, fascinoso ma deludente.

Gli affetti veri di Sira
La svolta
Il Marocco spagnolo II


Gli intrecci politici
Una nuova identita'
Il cast completo

Recensione "Le lettere segrete di Jo": un tuffo nell'infanzia [ITA]

Proprio così: un tuffo nell'infanzia, questo è ciò che ha rappresentato per me questo recente romanzo della scrittrice inglese Gabrielle Donnely.
La serie "Piccole Donne" della Alcott è una sorta di lettura-rito delle femmine della mia famiglia, un passaggio obbligato nella crescita di ogni bambina/adolescente di casa Ragghianti.
Tornare nel loro mondo grazie a questo romanzo, edito da Giunti in economica tascabile nei mesi scorsi, mi ha riportata con la mente e con il cuore a quei momenti, mi ha fatta ripensare alle sensazioni ed emozioni provate nel leggere per la prima volta la coinvolgente, dolce storia della famiglia March.
Gabrielle riprende infatti le file della serie di romanzi della Alcott, raccontandoci però il seguito di quella "saga familiare al femminile" in chiave moderna, trasportando i lettori nelle vite delle discendenti della bisnonna Jo.

Le protagoniste sono, anche in questo caso - ma non a caso - tre sorelle ed una madre affezionata.
Siamo a Londra, e le donne della famiglia Atwater, nate dalla penna della Donnely, ricalcano perfettamente le orme lasciate loro secoli prima da nonne e prozie March.
Emma, la maggiore e più saggia delle tre sorelle, saggia, parsimoniosa, sempre educata, è in elettrizzata trepidazione per i preparativi del suo matrimonio con Matthew.
Sophie è la talentuosa, frivola, corteggiatissima, adorabile chiacchierona sorella minore, nonché aspirante attrice senza ancora un ingaggio importante.
Lulu, nella difficile posizione di sorella mezzana, è perennemente indecisa, brillante ed intelligente ma inquieta, confusa, impacciata. Ama la cucina, è troppo acida e brusca per far innamorare qualcuno e nonostante la laurea in chimica, l'unica cosa di cui è certa è che da grande NON lavorerà mai in un laboratorio.
Fee è la mamma delle tre dissimili sorelle Atwater. Una donna moderna, anticonformista, femminista, psicologa e...americana!
Tra pettegolezzi, gaffe, blandi rimproveri e dimostrazioni di affetto, l'esistenza delle quattro donne scorre serena e placidamente uguale a se stessa.
E che cosa succede se un giorno, in soffitta, rovistando in una vecchia valigia alla ricerca di alcune ricette, una delle tre sorelle si imbatte per caso in un plico di lettere scritte nientemeno che dalla trisnonna Jo March, l’intrepida protagonista di Piccole donne? Piene di segreti, di saggezza, di consigli meravigliosi sull'amore e sulla vita sprigionano una forza e un coraggio tali da spingere finalmente Lulu, e non solo lei, ad immaginare la sua strada.

Come ho detto inizialmente, sono letterariamente e culturalmente nata grazie alla lettura di Piccole Donne, dunque temevo in modo abbastanza notevole che il mio giudizio potesse essere poco obiettivo e, tra le due parti, pendesse per un risultato negativo. Troppo alte le aspettative, troppo difficile soddisfarle.
Invece non è stato così.
La fortuna, e/o la bravura non saprei, di Gabrielle Donnelly è stata proprio quella di ambientare il romanzo in un'epoca moderna, rendendolo si un sequel di "Piccole Donne" grazie al fil rouge della dinastia familiare e delle somiglianze tra i membri femminili di casa Atwater e di casa March, tuttavia è riuscito a non intaccare direttamente le immagini che la Alcott ha creato nella nostra mente di affezionate bambine. Sarebbe stato pericoloso dover ricreare con efficacia e carica emotiva le figure delle sorelle March, farle muovere adeguatamente nel loro ambiente e non risultare stonata, finta o sbagliata addirittura.
In questo modo le sorelle March non sono altro che un richiamo, il sapore dolce di un ricordo che ci torna alle labbra ma che rimane immutato, tale e quale ad allora, conferendo stile atmosfera e interesse al racconto delle moderne Atwater senza esserne edulcorato.
Le giovani protagoniste sono ritratte con tratto sapiente, sensibilità profondamente femminili in cui ogni donna sa trovare se stessa o le proprie conoscenze, rendendo gradevole la lettura e interessante l'evolversi degli eventi. 
E' un libro accogliente, fresco, vivo e donna. L'affetto fa da protagonista, quello tra uomo e donna ma in particolare quello filiale, il legame straordinario che si crea solo all'interno degli indissolubili tessuti familiari.

La Donnelly ha saputo far rivivere atmosfere e valori della famiglia March raccogliendoli con cura e tatto, come si fa con i gioielli preziosi, e posandoli davanti ai nostri occhi moderni tra le pieghe delle corte gonne di casa Atwater, aggiungendovi valore senza mutarli.
Certo....la Alcott è la Alcott. E la famiglia March non sarà mai eguagliata, neppure dalle sue discendenti.

L'AUTRICE
Gabrielle Donnelly è nata e cresciuta a Londra, dove ha scritto per diverse riviste femminili, prima di trasferirsi a Los Angeles e specializzarsi in giornalismo dello spettacolo. Insieme a Julia Braun Kessler ha pubblicato, con lo pseudonimo di Julia Barrett, Presumption: An Entertainment, uno dei primi sequel di Orgoglio e pregiudizio. Vive a Los Angeles con il marito ed è una fan sfegatata di Louisa May Alcott da quando era bambina. 


Regalo consigliato per amiche, mamme, zie, nonne, sorelle...che abbiano amato Louise May Alcott o che ancora non l'abbiano scoperta. Perché l'amore è sempre amore, e riscoprirlo fa bene in ogni caso.




27 gennaio 2017

THE HAND OF THE POET: il percorso anziche' la destinazione [ITA]

Mi e' capitato tra le mani un libro di qualche anno fa' (1997...le nuovissime generazioni lo considererebbero forse vecchio addirittura!) voluto dalla New York Public Library e curato da Rodney Phillips: “The Hand of The Poet” (La Mano del Poeta). Questo volume di ben 358 e' praticamente una raccolta di manoscritti di quelli che dovrebbero essere i piu' importanti poeti di tutti i tempi, ognuno accompagnato da un saggio di analisi che cerca di individuarne il processo mentale, che ricostruisce il percorso scrittorio dall'idea al prodotto finale in base alle caratteristiche rilevate da ogni pagina mano/dattiloscritta: calligrafia, spaziatura, correzioni, disegni e tutte le altre scelte operate da ogni autore in ambito non di contenuto ma di forma.
Confesso di non aver letto pedissequamente e ordinatamente ognuna delle pagine, a dire il vero neanche ognuna delle schede piu' in generale, tuttavia dando una scorsa al libro sono saltate all'occhio alcune cose. La prima osservazione riguarda la scelta dei poeti che si sono voluti 'analizzare': evidente e fortemente influente e' di sicuro l'americanita' non solo dell'ente sponsorizzante ma anche dell'autore/curatore stesso, che ha prodotto una lista molto diversa da cio' che un curatore non dico italiano ma anche solo europeo avrebbe messo insieme. Limitandosi a considerare la produzione in lingua originale inglese, hanno escluso una vasta quantita' di autori di elevato ed elevatissimo calibro. Trattandosi tuttavia della collezione Berg e della New York Public Library, la scelta era forse obbligata, o quanto meno comprensibile. E' pero' facile notare anche,sempre nell'ambito della scelta degli autori, che la cosiddetta “black poetry” e' molto mal rappresentata, una minoranza quasi ridicola che sembra aggiunta per evitare critiche o accuse di razzismo, piu' che per effettivo apprezzamento. Potrei sempre sbagliarmi....forse.
Il secondo aspetto trasmesso dal libro e' che, soprattutto quando si tratta di arte, il percorso intrapreso dall'arista/autore che si conclude poi nel risultato – l'opera – e' importante e significativo tanto quanto il risultato stesso. Concetto interessante, solitamente ignorato dalla maggioranza del “pubblico” non-professionista che si concentra solo sull'opera e spesso superficialmente anche su quella. E' oltretutto interessante riconoscere che le caratteristiche personali ed artistiche di ogni individuo analizzato nel libro si riflettono e traspaiono dai suoi manoscritti, dicendo molto non solo sul funzionamento del processo mentale di creazione ed elaborazione dell'idea ma anche sulle scelte artistiche che ne conseguono, valido strumento per comprendere diversamente, se non meglio, il prodotto finale.
Cercando sul web non sono riuscita a trovare una traduzione italiana del libro ed il linguaggio usato e' necessariamente complesso e difficile da comprendere per chi non abbia una buona conoscenza della lingua inglese. Ne e' possibile l'acquisto nella maggioranza delle librerie online in lingua inglese per una modica somma, se siete interessati all'argomento vale sicuramente la pena una lettura, piu' o meno approfondita.

Irene Francis